SETSU-BUN secondo mese - Kyudo Iaido Qi Gong - Dojo Niten Ichi Ryu (Due Cieli) a Collegno (To)

SETSU-BUN secondo mese

In questo post trattiamo il significato culturale, storico e filosofico del lavoro di ricerca che svolgiamo nel dojo NITEN ICHI RYU di spada, e nel dojo HAYATE di Kyudo (tiro con l’arco).

Oltre all’attenzione verso la tecnica (il movimento), ci tengo sempre ad approfondire la visione culturale e storica degli eventi, che ho potuto a mia volta esplorare nel corso dell’esperienza nell’ambito delle discipline giapponesi. Completare la pratica con una più approfondita conoscenza generale facilita il superamento delle varie fasi di apprendimento che l’arte impone, guidando la crescita personale del praticante.

Vincenzo CESALE
チェサレ – ヴィンチェ ンゾ
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Quando l’inverno si trasforma in primavera

FEBBRAIO
Con l’introduzione del calendario gregoriano, nel 1873, il secondo mese dell’anno ha perso gran parte delle sue caratteristiche distintive. Setsu bun, il periodo nel quale l’inverno si trasforma in primavera, cade in questo mese, secondo il vecchio calendario giapponese, quando c’era l’usanza di tirare piselli secchi dentro le case, pensando che avesse l’effetto di scacciare spiriti maligni e influenze nocive.
Questo era anche il mese della fioritura dei ciliegi, ma persino i pruni non sono ancora completamente in fiore nell’attuale mese di febbraio. Tra i luoghi del Giappone più famosi per la fioritura dei pruni  vi sono Tsuki ga se a Yamato Komukai, vicino a Tokyo, Sugita, vicino a Yokohama, e Kameido e Kinegawa, sobborghi di Tokyo. La stampa rappresenta una scena a Kameido, quando i pruni sono in piena fioritura.

Prima dell’introduzione, durante il regno attuale, di una suddivisione settimanale del tempo, i giorni portavano nella loro sequenza i nomi dei dodici segni zodiacali:
1) Ne (nezu mi), il Topo;
2) Ushi, il Toro;
3) Tora, la Tigre;
4) U (usagi), la Lepre;
5) Tatsu, il Drago;
6) Mi (hebi), il Serpente;
7) Uma, il Cavallo;
8) Hitsuji, la Capra;
9) Saru, la Scimmia;
10) Tori, il Gallo;
11) Inu, il Cane;
12) I, il Cinghiale.

Allo hatsu uma, o “primo giorno del cavallo”, del secondo mese, veniva celebrata ovunque la festa di Inari, la dea dei cereali, e, benchè sia oggi osservata in misura molto minore, si appendono lampioni di carta ovali con figure dipinte, disposti ai lati della strada che porta al tempio di Inari, guadato da una coppia di volpi. Il più grande è quello di Fushimi Inari, a Inariyama, sul lato est della strada che da Kyoto va a Fujimi. E’ poco più di tre miglia e mezzo dal ponte Sanyo in Kyoto, e presso la stazione  Inari della ferrovia Tokyo Kobe.
L’undicesimo giorno del mese, piccole e grandi città sono rallegrate dalle bandiere nazionali esposte in onore dell’ordinazione del Jimmu Tenno, primo imperatore del Giappone, e, in questo giorno nell’anno 1889 è stata promulgata dall’attuale Imperatore una Costituzione per L’Impero.

SETSU-BUN Quando l’inverno si trasforma in primavera (anno 1909)


L’Angolo Manzoni Editrice

 

Significato culturale e storico nel Giappone – Setsu Bun dodicesimo mese

SETSU BUN dodicesimo mese

In questo post trattiamo il significato culturale, storico e filosofico del lavoro di ricerca che svolgiamo nel dojo Niten Ichi Ryu e nella scuola Due Cieli.

Oltre all’attenzione verso la tecnica (il movimento), ci tengo sempre ad approfondire la visione culturale e storica degli eventi, che ho potuto a mia volta esplorare nel corso dell’esperienza nell’ambito delle discipline giapponesi. Completare la pratica con una più approfondita conoscenza generale, facilita il superamento delle varie fasi di apprendimento che l’arte impone, guidando la crescita personale del praticante.

Vincenzo CESALE
チェサレ  ゙ィンチェ ンソ
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Quando l’inverno si trasforma in primavera: Setsu Bun dodicesimo mese

Dicembre in Giappone è il mese più indaffarato dell’anno, e verso la fine del mese si fanno imponenti preparativi per l’avvicinarsi del nuovo anno. le case vengono ripulite, la fuliggine eliminata, e la polvere buttata via dai tatami che ricoprono i pavimenti. Si tengono mercati in cui si vendono pini, corde di paglia, arance amare e altre cose necessarie per il giorno di Capodanno, insieme alle più svariate qualità di merce. Il riso cotto a vapore viene pestato a lungo e con forza in grandi mortai di legno, con lunghi pestelli, come si vede nel disegno, e quando il riso è ridotto allo stato glutinoso necessario, gli viene data forma di panetti rotondi di varia dimensione, chiamati mochi.

Si fanno regali ad amici e parenti: spesso sono doni di pesce salato, anatre selvatiche, scatole o sacchetti di zucchero e vassoi di arance.

 

Setsu-bun-12/2-Duecieli

Prima della Restaurazione, si mandava alle famiglie in cui c’era un bimbo maschio un vassoio con due archi ornamentali con frecce, e una racchetta e il volano se era una femmina. Era anche usanza da parte dei mendicanti di andare ballando di casa in casa cantando: “seki zoro, seki zoro, hoho, hoho” ecc.

A mano a mano che l’ultimo giorno dell’anno si avvicina, i commercianti si danno da fare per riscuotere i crediti non pagati e far quadrare i conti, in modo da cominciare in attivo il primo di gennaio. Il 31 dicembrei negozianti, che hanno esposto nel miglior modo possibile le loro merci, illuminano sfarzosamente le loro botteghe e si preparano a vegliare tutta la notte. Nella tarda serata vengono gettati piselli secchi nelle abitazioni al grido di:

Fuku wa uchi
Oni wa soto
che può tradursi con:
Dentro Pluto*
Fuori Plutone!

* Pluto è il dio della ricchezza, Plutone il dio dell’aldilà.

Volendo con questa frase esprimere il desiderio che il dio dell’abbondanza entri nella casa e gli spiriti maligni ne escano.
Prima della Restaurazione, l’inverno era la stagione preferita per i matrimoni, ma le cerimonie nuziali si tengono oggi in tutte le stagioni dell’anno, e nelle classi medie e basse c’è stato un rilassamento per quanto riguarda i rituali che dovrebbero essere osservati.

 

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I matrimoni sono combinati da una coppia sposata detta nakodo, che agisce da intermediario fra le due famiglie, ed è necessario il consenso dei fratelli adulti della donna così come quello dei suoi genitori. Il fidanzamento è reso pubblico da un dono del pretendente, chiamato yuino, normalmente costituito da un’ampia e costosa fascia di seta obi, un taglio di seta con la quale poter fare un abito, alcuni pesci considerati eccellenti della specie chiamata tai (serranus marginalis) e del sake (acquavite di riso).

Il giorno prima delle nozze, o il giorno stesso, un cassettone, un lungo baule per contenere abiti e utensili domestici di vario genere, è mandato dalla casa della sposa a quella della famiglia in cui ella sta per entrare, a meno che il suo futuro sposo sia un figlio che a lasciato il domicilio paterno e abbia una abitazione indipendente. Insieme a queste masserizie, si inviano doni per la famiglia dello sposo e la sua servitù.

La stampa rappresenta un matrimonio dell’epoca antecedente la Restaurazione (1868), in cui lo sposo indossa un abito chiamato kamishimo (sopra e sotto), che a ora lasciato il posto all’haori e all’hakama, gli abiti indossati in tutte le occasioni speciali. All’ora fissata, la sera tardi, lo sposo, con incedere solenne, prende il posto di fronte al toko, una nicchia ornamentale sollevata di alcuni pollici dal suolo, situata nella camera principale dell’abitazione dei genitori. In questa stanza si trova un ripiano (shimadai), recante rami di bambù, pruno e pino, statuine di un vecchio e una vecchia, di una gru e d’una tartaruga, simboli di virtù felicità e lunga vita.

 

Corsi di Iaijutsu: https://www.kyudoiaidoqigong.it/lo-iaijutsu-koryu/

 

In occasione delle nozze d’argento dell’Imperatore e dell’Imperatrice, il 9 marzo 1894, un gran numero di statuine d’argento raffiguranti una gru e due tartarughe vennero regalate come ricordo agli ospiti che hanno avuto l’onore di essere invitati al ricevimento offerto dalle Loro Maestà. La sposa vestita con un abito di seta bianco e manica ampia e ricadente con un velo di seta sul capo, è introdotta da due accompagnatrici, chiamate machijoro, che si vedono sedute a destra, nella stampa. Accanto alla sposa si trova la sua unica damigella d’onore (kishimoto o tsure onna), e all’altro fianco è seduta la sua intermediaria.

Un ragazzo e una ragazza, in primo piano, hanno il compito di versare il sake. Quando tutti hanno preso posto, con aria solenne, il silenzio viene rotto dal suono di voci provenienti da una camera adiacente, che intonano una canzone (utai). Un piccolo vassoio bianco di legno, recante tre piccole tazze poste una sopra l’altra, viene ora offerto alla sposa e, uno dei ragazzi, versa nella prima tazza un pò di sake da un vaso decorato con farfalle di carta. Dopo che la sposa ne ha bevuto un piccolo sorso, il vassoio viene offerto allo sposo, che beve a sua volta.

La stessa cosa viene fatta con la seconda e la terza tazza. Questa parte della cerimonia, che si svolge in un solenne silenzio, è detta san san kudo. La sposa e lo sposo ora si ritirano, la prima in uno spogliatoio, dal quale riappare in vesti colorate e senza il velo sul capo. Ha quindi luogo un ricevimento per parenti e amici, nella stessa stanza in cui si è svolta la cerimonia, ed in questa parte della festa si suona il samosen e si danza. Nelle nozze giapponesi non vi sono riti religiosi, ma la cerimonia stessa è considerata uno dei riti più importanti e il matrimonio deve essere regolarmente registrato.

Le canzoni nuziali di solito recitano così:

Shikai nami shikuka nite,
Kuni mo osamaru tokitsukaze,
Yeda mo narasanu miyo nareya,
Ai ni aioi no matsu koso medetakere.

Il tutto può essere liberamente tradotto:

I quattro oceani, che circondano
le nostre spiagge,
sono colmi, e questa è la nostra terra:
non si piegano i rami, non soffia brezza;
questi pini ora piantati cresceranno
nella benedizione.

 

da Setsu Bun dodicesimo mese
Quando l’inverno si trasforma in primavera (anno 1909)
L’Angolo Manzoni Editrice

Ricerca Vincenzo Cesale

Seminario di Tameshigiri 試し斬り

Seminario di Tameshigiri per praticanti di iaijutsu.

Programma del seminario di Tameshigiri 試し斬り

Prova di taglio (Shizan (試斬) è l’arte del taglio con la Spada giapponese.

Nell’era moderna, per fortuna, non si esercita più contro carcerati deceduti, ma con stuoie di paglia arrotolate.

Si tratta di un lavoro integrato per mettere alla prova non solo la parte tecnica ma soprattutto per il controllo del proprio ego.

 

Seminario di Tameshigiri 2

Leggi anche: l’inverno non è per sempre

 

Perché frequentare un seminario di Tameshigiri?

Quando si pratica l’arte dello Iaijutsu Koryu 居合術古流 ,scuole antiche risalenti alla fine del periodo Muromachi, (室町時代) 1336 al 1573, ci si esercita con delle forme (Kata).

Il lavoro che si svolge attraverso le forme è  molto importante, ma la mancanza del confronto reale fa si che non sia completa la formazione personale, sul proprio controllo fisico e delle proprie emozioni. Ecco perchè studiamo il Tameshigiri.

Seminario all’aperto nel Kyudojo Haiate, dojo Niten Ichi Ryu di Collegno v. Plava,37 (TO)
Domenica   22 luglio 2022

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Vincenzo CESALE
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UN SOLO PENSIERO

Il sole è già tramontato,
un vapore
sottile sale dai fiori.
In cielo brilla la luna,
ma io,
poveretta,
ti desidero, soffro e non dormo.
Ho appena deposto
l’arpa di Zhào
sul suo sostegno a forma di fenice
e la cetra di Shŭ si appresta ora
a far risuonare le corde d’anatra.
In queste canzoni c’è tutto il mio amore,
ma nessuno le ascolta.
Ah, se accompagnassero la brezza di primavera
volando fino a te come
rondini.
Ti penso anche se siamo così lontani,
separati dalla
distesa del cielo azzurro.
Dai miei occhi, un tempo splendenti,
ora sgorgano a fiotti le lacrime.
Se dubiti dell’affetto della
tua donna,
torna! vieni a vedere!
controlla tu stesso dinanzi al
lucido specchio!

Li Bai

Esami Iaijutsu Koryu 2022

 

 

 

Si sono svolti gli esami di Iaijutsu Koryu del dojo Niten Ichi Ryu di Collegno (TO), con esito positivo.

 

Gli esaminandi  hanno conseguito il grado di Iaijutsu Koryu

Andrea Muglia 1° dan

Michele De Fazio Romano 2° dan

 

Dopo la difficoltà di pratica di questi ultimi due anni, la mole di lavoro e l’impegno sono stati molto intensi, ma Andrea e Michele sono stati premiati meritatamente: il lavoro che con dedizione hanno svolto ha dato i suoi frutti. Ora non resta che proseguire con lo stesso impegno, per i futuri traguardi, ma soprattutto per il piacere della pratica, con un’arte che trasmette un’antica tradizione.  I risultati possono essere notevoli, per l’apprendimento di una vita migliore e più consapevole.

Dedico a tutti e due questa antica poesia giapponese con i miei complimenti.

Oritsureba
sode koso nioe
ume no hana
ari to ya koko ni
uguisu no naku

Ho appena colto un ramo;
così le mie maniche profumano
del fiore di susino
ma ecco che, forse da questa fragranza
ingannato, canta l’usignolo.

Anonimo

 

Componenti commissione

M° Vincenzo CESALE 6° dan
Deborah NAPPI 3° dan
Umberto CANEPA 3° dan

 

 

 

 

 

 

 

 

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Vincenzo CESALE
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Ai miei colleghi Insegnanti…

Ai miei colleghi Insegnanti…

Quali benefici a portato il web? Sicuramente molti: ha aperto le frontiere della conoscenza.

Però non ha fatto conto della mancanza di pudore, da parte di persone senza arte nè parte, che dal web copiano senza ritegno: questo dice già tutto.

Invece di imparare da un insegnante in carne ed ossa, dare tempo al tempo per avere una formazione solida e duratura che darà anche in futuro soddisfazioni e spesso sostentamento economico, si cerca la via più breve: SCOPIAZZARE.

 

La mia esperienza come insegnante

Ho voluto introdurre questo argomento non per parlare ai praticanti, ma per condividere con i miei colleghi insegnanti di lungo corso (Maestri che hanno almeno trenta o quarant’anni di esperienza nel campo delle Arti Orientali), un disagio che personalmente, in questi momenti, sento in maniera incisiva.

Mi capita a volte, durante le lezioni di scontrarmi con un’abitudine ormai purtroppo consolidata: il vizio di cercare tutto quello che si vuole sul web, ha portato ad una difficoltà.

Per l’Insegnante è difficile trasmettere una tecnica senza che almeno un allievo metta in discussione l’insegnamento che sta ricevendo o che ripeta quello che ha visto in internet, invece di eseguire quello che gli stai trasmettendo.

Tutto questo, non comprendendo che quello che ha visto appartiene ad un’altra scuola o ad un altro insegnante con metodi diversi, ed è totalmente fuori dal contesto.

Vi voglio raccontare un esempio, purtroppo di molti: organizzo un seminario di Qi Gong con l’introduzione nuovi esercizi.

Qualche giorno dopo un allievo mi contatta dicendomi che sul web ha visto un insegnante che eseguiva degli esercizi che lui riteneva più belli e più adatti, (con la sfrontatezza di mandarmi il link): a casa si è quindi esercitato, copiando dal video.

Ora mi domando: cosa sei venuto a fare… al mio seminario se poi non segui quello che ti ho insegnato? Rimani a casa e copia quello che vedi su internet, poi magari insegnalo (ovviamente male) dopo un paio d’ore di visione.

 

 

 

Conclusioni

Come docente, mi rivolgo a tutti gli insegnanti e professionisti formatisi nella scuola Due Cieli®, queste mie esperienze vi capiteranno sicuramente, ma dovete sapere che si, avrete pessimi allievi, ma avrete anche ottimi allievi, che saranno quelli che vi daranno molti stimoli e coraggio per proseguire la vostra Via. Non dimenticate le esperienze negative, perchè saranno di insegnamento per costruire esperienze positive e da non sottovalutare, la vostra esperienza e il vostro sapere, lo trasmetterete ad allievi che meriteranno le vostre attenzioni.

 

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Vincenzo CESALE
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La spada giapponese nell’era moderna

La spada giapponese ci può venire in aiuto: un oggetto che è stato inventato per dare la morte, che sia per difesa o per offesa, si può trasformare in un oggetto positivo che controlla i nostri istinti, trasformandoli in grinta e solidarietà.

Il Musoshinden

  • MU visione di un sogno
  • SO un pensiero
  • SHIN spirito
  • DEN origine
  • RYU scuola
  • AI armonia
  • DO Via

Sembra che nella nostra società non ci sia più posto per parlare di concetti che portano alla memoria atti tragici, eppure basta sfogliare qualsiasi giornale o ricercare notizie su avvenimenti che succedono nel mondo, per renderci conto che nulla è cambiato da quando l’uomo è apparso sulla terra.

I movimenti pacifisti, che hanno tutto il mio rispetto e solidarietà, sembra che siano la risposta, ma non sempre è così: demonizzare non è la sola via per sedare quello che è insito nell’essere umano, ma cercare più nell’intimo dell’uomo le mancanze e i difetti, ma anche i pregi, guidandoli in un viaggio che non sia di costrizione ma di consapevolezza.

Oggi darò qualche informazione su una scuola antica che comprende la storia di decine di generazioni. Nata nel XVI secolo é ancora oggi molto viva. Troverete anche una breve informazione, che sarà rivolta alla storia della spada giapponese.

 

Leggi anche link: https://www.kyudoiaidoqigong.it/iaijutsu/

 

Storia del Muso Shinden Ryu : la spada giapponese antica

Non esiste arma più impregnata di storia e leggende come la spada giapponese, ma è anche un’arma molto raffinata nella sua costruzione, unica al mondo.

Le premesse culturali e lo sviluppo dello laido : le forme antiche e il ruolo dello Spadaccino Jinsuke

Iaido, l’arte di estrarre e maneggiare la spada, cosi come viene oggi praticata, è fondamentalmente attribuita all’opera degli spadaccini giapponesi del XX secolo.

Il termine Iaido fu utilizzato per la prima volta nel 1932 e fu reso popolare grazie a Nakayame Hakudo (o Hirormichi 1869-1958). Oggi questo termine raggruppa centinaia di stili, con la caratteristica comune di essere scuole non combattive. Lo Iaido è, di per sé, una intrinseca forma di Budo giapponese moderno (via marziale), la cui essenza verrà discussa nei prossimi capitoli.

 

la-spada-giapponese - Nakayame Hakudo

Nakayame Hakudo

 

Le prime forme di estrazione della spada giapponese, eseguite con la katana e codificate in maniera sistematica, si svilupparono successivamente al XIV secolo. Ogni forma di estrazione della spada che sia autenticamente destinata al combattimento, che sia cioè usata per attaccare repentinamente un nemico o che venga usata per difendersi da un tale tipo di attacco, può essere considerata una forma di Bujutsu (arte marziale).

In Giappone esistono due tipi di Bujutsu: uno di origine antica e l’altro di origine moderna, entrambi sono componenti del sistema Ko Bujutsu o arti marziali antiche, quindi classiche, sviluppatesi prima della ribellione Satsuma (1877). Tutte le arti successive a questo periodo devono essere classificate come Gendai Bujutsu, o arte marziale moderna.

Lo Iajutsu (la spada giapponese), esiste ancora oggigiorno ma viene praticato sotto vari nomi generici come: iai, iso, iawasu, nuki iai, rito, giken, batto, batto jutsu, saya no uchi, no naka. bakken, iai batto, tsume ai, niki chi, iai nuki, za ai, tachi ai.


La storia di Jinsuke Shigenobu ( 1546-1621 date incerte) o Hayashizaki’ Jinsuke Shigenobu come più comunemente conosciuto, popolarmente accreditato come l’inventore di estrarre la spada.

É storicamente provato che, nella seconda metà del XV secolo, quindi almeno cento anni prima che Jinsuke nascesse, il fondatore del Tenshin Shoden Katori Shinto Ryu, Izasa Ienao (Choisai) e gli istruttori della sua scuola avevano già creato la dinamica arte dello Iaijutsu (praticato con la katana) che ancora oggi caratterizza questa scuola.

Inoltre gli spadaccini del Tatsumi e del ryu Takenouchi, le cui tradizioni risalgono all’inizio del secolo XVI e sono antecedenti alla nascita di Jinsuke, praticavano anche lo Iaijutsu: questi stessi sistemi vengono a tutt’oggi praticati.

Il vero ruolo di Jinsuke rispetto all’arte della spada e quindi è stato quello di essere il maggior esponente, lasciandoci cosi una  grande esperienza, un segno indubbiamente indelebile. Più di duecento scuole sono nate grazie agli insegnamenti di questo straordinario uomo.

Che Jinsuke sia stato un personaggio reale é fatto certo, ma di lui si conosce molto poco e quasi tutto quello che è stato detto o scritto sul suo conto, compreso il fatto che fosse di sangue Hojo, è pura fantasia, persino le date di nascita e di morte sono sospette.

Nacque nella provincia di Sagami (attuale prefettura di Kanagawa), probabilmente intorno alla metà del XVI secolo, e visse nel periodo in cui il paese attraversava un costante stato di guerra civile. E’ quindi comprensibile che abbia avuto un precoce interesse per le arti di combattimento, ma non si hanno dettagli precisi sul suo addestramento marziale e neppure é dimostrata la sua partecipazione a campagne di guerra.
Si presume che intorno ai venticinquesimo anno abbia viaggiato nell’Oshu (attuale area di Tohoku), dove pregò Hayashi Myojin, divinità benevola, ad Hayashizaki nel villaggio di Okura (nell’odierna prefettura di Yamagata), dalla quale ricevette l’ispirazione che gli permise di creare la propria arte di estrazione della spada.

 

La spada giapponese 3

 

Per continuare questo viaggio nella spada giapponese in tempo di pace, IAIDO è nome più conosciuto nella nostra epoca moderna.

Personalmente pratico e insegno lo IAIJUTSU KORYU in un modo molto più vicino da una formazione dell’individuo e più consono ai canoni antichi. Come dicevo all’inizio dell’articolo, la scuola che lega l’antico al moderno è il MUSOSHINDEN, che raccoglie quattro stili principali risalenti all’anno 1555 del periodo KOJI . Scuole e stili sono raggruppati nelle scuole antiche, dette Koryu, che sono classificate come Iaijutsu.

  • SHODEN: Omori Ryu – Seisa Waza
  • CHUDEN: Hasegawa Eishin Ryu – Tatehiza Waza
  • OKUDEN: Suwariwaza – Tachiwaza

La spada giapponese

I primi reperti di spade giapponesi furono rinvenuti nelle cripte di pietra del periodo Kofun Bunka (400 a.C. al 700 d.C.). Si pensa che la provenienza sia Cinese. Le prime prime spade risalenti prima dell’anno 1000 erano diritte e affilate sui due lati, (esattamente come sono tuttora le spade cinesi), chiamate STURUGHI o KEN.

Intorno all’ X° secolo un forgiatore chiamato AMAKUMI, della provincia di Yamato, cambiò la struttura e l’estetica della lama creandola curva e a un solo taglio.

Questa nuova forma viene chiamata NIPPON TO.

La prima lama che costui AMAKUMI si chiamò KOGARASU (piccolo corvo). Questo tipo di spada (TACHI) veniva usata da guerrieri a cavallo,  aveva una lunghezza considerevole (all’incirca, solo per la lama, la lunghezza era di 3 shaku e oltre), il motivo era che combattendo a cavallo la distanza tra i due contendenti era più lunga che nel combattimento corpo a corpo.

Un altro maestro spadaio dell’epoca, GORO NIUDA MASAMUNE, accorciò la lama e le diede il nome che tuttora tutti conoscono: KATANA.

Il GO KADEN, antico manoscritto, descrive le cinque scuole più famose di forgiatura, che sono:YAMATO, YAMASHITO, SOSHU, MINO, BIZEN.

Una tecnica particolare praticata da tre fabbri che forgiano le spade è SAN MAI: tre strati, di cui uno molto duro e tagliente come anima della spada giapponese e le due parti laterali più orbite.

 

Leggi anche link: https://www.kyudoiaidoqigong.it/la-danza-e-lo-iaido/

 

Periodi e i nomi di attribuzione abbinati alle ere.

  • KOTO: periodo della spada giapponese antica precedente al 1596
  • JOKOTO: periodo precedente al KOTO
  • SHINTO (moderno): periodo della nuova spada dal 1596 al 1781
  • SHINSHINTO (moderno moderno): periodo della nuovissima spada dal 1781 al 1876
  • GHENDAITO: periodo moderno dal 1876 (apertura del Giappone e la reintroduzione dell’imperatore Mutsuhito 睦仁 che viene identificato con il periodo MEIJI), ad oggi.

Vediamo ora di conoscere alcuni dei nomi per identificare le differenze tra le varie lame: queste differenze erano abbinate all’uso che se ne doveva fare.

  • SHIRA TACHI o TACHI: spada lunga oltre i 2,5 3 shaku, portata con il filo verso il basso (come venivano portate in occidente).
  • DAITO: la spada giapponese lunga, con il taglio verso l’alto (portata nell’obi, cintura) vedi TACHI
  • KATANA: spada con una lunghezza media (oltre i due shaku, portata nell’obi)
  • WAKIZASHI: spada corta portata in abbinamento alla KATANA (sotto i due shaku, portata nell’obi)
  • TANTO: pugnale (sotto i due shaku, portato nell’obi)

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Il dojo-Duecieli

Il dojo

IL DOJO E’ IL LUOGO DOVE COLTIVARE IL TUO SVILUPPO PERSONALE

La parola dojo viene spesso, erroneamente, associata al luogo dove si praticano le arti marziali, quindi la lotta e il combattimento. Ma si tratta di una visione molto limitata: dal punto di vista della cultura giapponese, infatti, il dojo è più precisamente il “luogo sacro e di ricerca della Via o luogo dove si coltiva lo spirito”, intesa come Via spirituale, attraverso la pratica di un’arte (marziale o non).

Se sei intenzionato a praticare una disciplina orientale in un VERO DOJO, dovunque si trovi, dovrai essere pronto a metter piede in un luogo molto particolare, ben diverso dalla tradizionale palestra a cui la cultura occidentale ti ha abituato.

Il primo impatto che avrai entrando in un vero dojo sarà una sensazione molto particolare: l’atmosfera sarà ovattata, e quasi sempre sentirai un buon profumo di incenso nell’aria. Questo è il primo passo per predisporre e rilassare mente e corpo.

Le caratteristiche particolari che noterai nel luogo, non solo sono esteriori, estetiche: si tratta infatti di aspetti profondi che derivano dall’applicazione delle regole di comportamento collettive, che tutti gli appartenenti al dojo seguono.

1) IL SILENZIO
Nel dojo non si urla, perché il controllo di sé è parte integrante delle discipline orientali. Lo stesso garbo riguarda i movimenti: nessuno corre o si sposta in modo brusco.

2) LA PULIZIA
Il dojo è un luogo pulito, anche ai praticanti è richiesto di provvedere alla sua pulizia prima di ogni lezione, dove ti verrà chiesto di entrare senza scarpe. Abbandonare le calzature è uno dei modi per predisporsi fisicamente e mentalmente al lavoro.
Entrando, inoltre, noterai un lato delle pareti dedicato all’esposizione dei dettami della Scuola, degli ideogrammi che rappresentano la Via prescelta, dei simboli riguardanti gli antenati: il TOKONOMA, e le arti che si coltivano, nel nostro caso l’arte della spada (Iaijutsu) e dell’arco (Kyudo). Qui vengono collocati anche un tempietto shintoista (Kamidana) ed alcuni altri oggetti (come puoi vedere nella foto).

 

 

Leggi anche: https://www.kyudoiaidoqigong.it/il-kimono-magico/

 

LAVORARE NEL DOJO: OMOTE e URA

Apprendere un’arte comporta due passaggi, o meglio due fasi.

1. OMOTE . E’ la prima fase, detta anche “esterna”; riguarda ciò che un principiante osserva e ripete, ovvero l’apprendimento dei Kata, delle tecniche ecc.

2. URA. E’ la seconda fase, quella “interna”. Si riferisce alla parte “nascosta” dell’arte, ovvero il punto di vista filosofico, iniziatico, quello che non si vede attraverso gli occhi ma con lo spirito. Questo secondo aspetto viene quasi sempre tralasciato, soprattutto nelle scuole occidentali che hanno privilegiato la pratica sportiva a discapito dell’arte orientale vera e propria. Viene così a mancare l’aspetto più importante: quello evolutivo, che costituisce l’apprendimento più completo dell’essere umano.

Di solito il primo contatto con il gruppo dell’allievo più giovane KOHAI (後輩) avviene attraverso l’incontro con il SENPAI 先輩 (l’allievo più anziano) : sarà lui a guidarti dandoti le prime informazioni sulla Scuola, sui comportamenti da seguire, sul modo corretto di indossare l’abbigliamento, ecc.

Successivamente avrai modo di iniziare a conoscere meglio, attraverso il lavoro, il tuo insegnante.
Se l’insegnante, nella sua formazione, ha avuto modo di lavorare con maestri giapponesi, avrà acquisito un comportamento che si esprime su due livelli:
TATEMAE 建前 (il rapporto sociale con i suoi allievi)
 e
 HONNE 本音 (l’interiorità privata, ovvero la sua visione personale sulle cose).

Tutta questa “etichetta formale” non ti deve spaventare o intimorire: con la pratica e la conoscenza l’integrazione avverrà senza che tu te ne renda conto, gradualmente. 
Più ti dedicherai alla Scuola, più questi aspetti diventeranno parte di te: attraverso la perseveranza e la dedizione assorbirai molto valore da questa esperienza, che ti rimarrà dentro per sempre. Anche se la vita prima o poi ti allontanerà dal dojo, difficilmente te ne dimenticherai, ritrovandone le tracce nei tuoi comportamenti.

Nel 1971, la prima volta in cui ho indossato un kimono, più precisamente Karategi, Kendogi ecc. (cioè abito da lavoro) l’impressione è stata quella di sentirmi molto ridicolo: quel tipo di abbigliamento era così distante dalle mie abitudini che non riuscivo ad adattarmi. Ed ascoltando il mio maestro giapponese di karate mentre illustrava le tecniche nella sua lingua madre, pensavo che non sarei mai riuscito a capire qualcosa di quel mondo.

Invece oggi indosso il kimono con più disinvoltura del normale abbigliamento occidentale, e grazie a questo percorso ho avuto l’opportunità di avvicinarmi alla lingua e alla cultura giapponese come approfondimento personale. Tutto si può imparare…

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Vincenzo CESALE
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IL KIMONO MAGICO® - Kyudo Iaido Qi Gong - Dojo Niten Ichi Ryu (Due Cieli) a Collegno (To)

IL KIMONO MAGICO®

Un’avventura con il Kimono

Lo vide per caso in un mercatino della domenica, seppellito sotto una montagna di camicie e pantaloni stropicciati. Ad attirarlo fu una manica che spuntava dal mucchio, con una fodera bianca in cui si intravvedeva l’inizio di una disegno. Era un kimono nero, con dei sigilli bianchi sui due petti detti Mon”, e il disegno del Fujihama富士山 nella fodera interna. A colpirlo, in particolare, fu la katana che sembrava spuntare dal cono del vulcano.

Una rappresentazione che non aveva mai visto nelle tavole giapponesi che amava consultare su Internet. “Lo prenda, così può travestirsi da samurai a carnevale, fra una settimana!”, lo consigliò ridendo il venditore. Lo provò sommariamente sopra il maglione di lana, sembrava la sua misura, o comunque non stava male. Se la cavò con pochi euro.

Quando se ne andò.

Con il kimono dentro una busta di plastica marroncina, si sentiva bene, come se fosse più attrezzato per lo iaido. Aveva cominciato il corso da qualche mese, quasi per gioco. L’attirava poter maneggiare la lama, una lama che aveva intorno a sé l’aura di perfezione della katana giapponese. Gli piaceva farlo vestito in quel modo, con quell’hakama cui non era ancora riuscito ad abituarsi, ma che sembrava trasmettergli un’attitudine guerriera che non aveva mai immaginato potesse appartenergli.

Non aveva ancora capito bene che senso avesse praticare lo iaido. Le poche parole che il sensei aveva pronunciato a proposito non erano state di grande aiuto. Non riusciva a capire cosa potesse voler dire “tagliare se stessi”. Certo, capiva il significato letterale di quelle parole. Ma non riusciva a sentire come potessero realizzarsi sulla sua persona.

Ogni tanto, guardandosi intorno.

In mezzo a quegli uomini vestiti di blu che sguainavano gli iaito fendendo l’aria, si sentiva un po’ fuori posto, come se tutto questo non c’entrasse nulla con la sua vita. Ma poi passava, e quando la pratica finiva si sentiva bene.

Di ritorno dalla tintoria, dopo un lavaggio a secco e un’accurata stiratura, il kimono”着物” aveva acquistato un’aria importante che mai avrebbe immaginato prima. Il nero era tornato intenso, la fodera candida nella parti scoperte dal disegno. Sembrava destinato a una personalità di rango elevato, non a uno qualunque.

Quando indossò il kimono sentì che qualcosa cambiava dentro sé.

Gli sembrava di essere più grande, che il suo respiro fosse più profondo e forte, il petto più prominente, lo sguardo più penetrante. “Così dovevano sentirsi i samurai”, pensò, guardandosi allo specchio. La stessa sensazione lo colse quando lo indossò la prima volta nel dojo.

Il nuovo kimono cambiava il suo portamento. Se prima era un po’ trascinato, la testa spinta in avanti, la camminata rigida, ora era cambiato tutto: passo morbido e aderente al terreno, testa alta e mento in dentro, spalle larghe e basse. Lo stesso avvenne con i kata.

Praticava i dodici kata della prima scuola della Musoshinden.

Se prima i movimenti erano a scatti, corti e contratti, ora avevano acquistato morbidezza. Le braccia si distendevano armoniose nel taglio, l’anca era dritta e cominciava a spingere.

“Un cambiamento incredibile!” si diceva, sentendo il corpo rispondere in modo diverso alle sue sollecitazioni e vedendo lo stupore con cui gli altri allievi seguivano i suoi movimenti.

 

 

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Il sensei aveva notato tutto.

Dal nuovo kimono, alle nuove capacità che mostrava sul campo. “Bravo, stai facendo progressi sensibili”, gli disse. “Tutto merito del nuovo kimono”, pensò, e si convinse tanto che non voleva più smetterlo. Per timore di non poterlo indossare non lo faceva neanche lavare. Fino a quando il sensei, opportunamente, non ricordò a tutti che l’ordine personale e la pulizia dell’abbigliamento erano elementi altrettanto importanti nello iaido delle capacità di pratica della disciplina.

Purtroppo l’assenza del kimono.

Ancora in lavanderia, lo convinse del suo carattere magico. Indossato il vecchio gi, tutto sembrava tornare come prima: movimenti impacciati, postura contratta, tagli striminziti. “Oggi non sei in forma”, sembravano dirgli gli occhi del sensei mentre lo guardavano silenziosi. Lui si concentrava, ma le cose non miglioravano, anzi. I movimenti erano sempre più contratti, la respirazione accelerata e faticosa.

Insomma, tutto da dimenticare.

Il ritorno del nuovo kimono sembrò riportare tutto a posto. O per lo meno così pensava. Perché quel giorno l’appuntamento nel dojo era dedicato ai tagli. Il sensei”先生aveva preparato con accuratezza le paglie da tagliare e stava selezionando gli allievi che si sarebbero cimentati nel Tameshigiri. Lui aveva cominciato da poco tempo, probabilmente era troppo presto. Così sembrava pensare anche il sensei, che pareva ignorarlo nella selezione. Ma lui lo guardava con un atteggiamento così implorante che il sensei si sentì spinto a chiedergli se voleva provare. Una domanda che trovò di risposta un immediato sì.

Quando venne il suo turno.

Si alzò e si posizionò davanti alla paglia appoggiata nel sostegno di legno. Gli passarono la spada che taglia, e lui per la prima volta si rese conto di avere in mano una katana vera, e di fronte un oggetto da tagliare. Non era più come “tagliare se stessi”: ora c’era davvero qualcosa da colpire e neutralizzare. “Il kimono mi aiuterà di certo”, si disse. La paglia, dritta davanti a lui, sembrava quasi sfidarlo.

La guardò intimorito mentre il sensei gli spiegava i movimenti.

Da fare per tagliare. Quasi non lo sentiva, tanto era concentrato su quell’oggetto che, nonostante fosse immobile, gli sembrava dotato di un’anima vivente. A un certo punto scattò in avanti, colpendo con forza dall’alto in basso. La paglia cadde dal sostegno senza accusare alcuna ferita.

Una volta rimessa a posto, ripartì alla carica, ma la katana si bloccò nella paglia all’inizio del taglio, e non ci fu verso di farla andare in giù. Anche il terzo tentativo fallì, e solo l’invito del sensei a tornare al suo posto lo salvò da un’altra figuraccia. Più tardi, mentre per ultimo terminava di rivestirsi nello spogliatoio, il sensei gli parlò: “Nella Via dell’estrazione della spada non ci sono scorciatoie, come nelle altre Vie vere, compresa quella della vita.

Ogni metro é una conquista faticosa.

Necessaria per andare avanti. Il fallimento é altrettanto importante, perché ci ricorda quanto siamo piccoli e quanti sforzi dobbiamo fare per diventare grandi. E, per quanto grandi, saremo sempre piccoli. Questo è tagliare se stessi. Perché se ogni taglio ci spoglierà di una parte, alla fine resterà solo quello che é necessario, il nostro vero io: umiltà, accettazione, consapevolezza vera.

Sentiremo il vuoto, e capiremo quanto è più vero di tutto il resto. Il tuo kimono nuovo, quello che hai indossato nelle ultime settimane, è un kimono di famiglia, un kimono importante che non tutti possono indossare. Solo un uomo che ha percorso la Via e conosce il suo vero io può portare un simile indumento.

Chi non lo conosce, penserà che é il kimono a dargli l’identità.

E nella Via non troverà la strada. Non è il kimono a fare il samurai, é il samurai a fare l’abito: che sia un kimono, cui saprà dare dignità con il suo portamento naturale, o un abito spirituale: quello che ha conquistato nel suo lungo percorso di formazione e che, una volta raggiunto davvero, non lo abbandonerà più. Solo se percorrerai la via con grandi sforzi potrai indossare il tuo kimono senza pericoli. Altrimenti indosserai solo un’illusione, una magia, che una volta sparita ti lascerà in pieno smarrimento”.

Questa è una breve fiaba iniziatica, nata dall’unione dell’esperienza del M° Vincenzo Cesale e di un praticante di Iaijutsu del dojo Niten Ichi Ryu di Collegno. Da una lezione qualunque.

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Da un’idea di Pino Riconosciuto e Vincenzo Cesale
(Registrato il 11/02/2011, tutti i diritti sono riservati.)®

Seminario Niten Ichi Ryu Italia

Stage domenica 29 novembre 2020

Scuola antica di (Koryu) basata sull’uso di due spade: una corta e una lunga

Scarica il programma in PDF:

https://www.kyudoiaidoqigong.it/wp-content/uploads/2020/10/NITEN-ICHI-RYU-29NOVEMBRE.pdf

Vuoi essere informato sui prossimi eventi della scuola contattami all’indirizzo: duecieliniten@gmail.com

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LA VIA DEL GUERRIERO (QUELLA VERA), UNISCE PRATICA E CULTURA

Percorrere la via del guerriero richiede tanta pratica, ma non solo: si completa con la ricerca della raffinatezza di pensiero.

Riporto queste parole da un celebre libro, dedicandole ai miei allievi di spada, che in questi giorni, anche in assenza del loro Insegnante, proseguono la pratica nel dojo e mantengono viva l’arte.

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L’equilibrio nella via del guerriero

Nel lessico cinese c’è una parola che in giapponese si legge uruwashi e significa “equilibrato”, in riferimento alla corretta proporzione tra l’interiorità e la forma esteriore. La parte sinistra di quest’ideogramma, bun, originariamente significava qualcosa come “percorso”, inteso come il percorso formato dalle increspature sull’acqua o dagli uccelli che volano il cielo, ma poi ha assunto il significato di “lettura”, o percorso della cultura umana e infine di “cultura” in sè.

La parte destra dell’ideogramma, bu, vuol dire marziale, o guerriero e può essere a sua volta scomposta nei radicali “fermare” e “alabarda”, indicando quindi il “fermare con l’alabarda”. l’ideogramma completo “urawashi” quindi, denota un equilibrio tra le abilità culturali e marziali di una persona e questo ideale apparve presto nelle culture cinese e giapponese.

Nel primo periodo Kamakura (1185-1249), in Giappone, questo senso di equilibrio venne espresso in maniera sublime nell’Heike Monogatari , la storia della guerra tra i clan Taira e Minamoto. Il guerriero è descritto come ben vestito, abile nella lettura e nella musica e in grado di comporre una poesia di addio. Questo ideale maschile di equilibrio tra forza militare e potenza culturale, avrebbe attraversato tutta la storia della classe guerriera, anche se alcuni clan, o individui in particolare, avrebbero a volte enfatizzato un aspetto rispetto all’altro.

 

LA VIA DEL GUERRIERO (QUELLA VERA), UNISCE PRATICA E CULTURA-3

Vieni a praticare lo iaido (scuole antiche) Ai DUE CIELI
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Shiba Yoshimasa (1350-1410), grande generale e governante durante lo shogunato Ashikaga, scrisse nel suo libro, il Chikubasho: “Quando un uomo è abile nelle arti è possibile immaginare la profondità del suo cuore e comprendere la mente del suo clan”.

Altri grandi generali e signori della guerra si trovano sulla stessa lunghezza d’onda. Hojo Nagauji (Soun) (1432-1519), che eresse a Odawara una delle prime grandi città fortificate in Giappone, affermò nei suoi Ventuno precetti che “una persona che non conosce la Via della poesia è davvero povera. La Via del guerriero deve essere sempre sia culturale che marziale. Non è necessario ricordare che l’antica legge stabilisce che le arti culturali dovrebbero essere rette con la sinistra e quelle marziali con la destra.”

Anche Takeda Shingen (1521-1573), unanimemente considerato il più grande generale della sua epoca, disse: “L’apprendimento di un uomo è come i rami e le foglie di un albero; esso non può vivere senza. Imparare, tuttavia, non significa solo leggere qualcosa, ma si tratta piuttosto di qualcosa che integrano nelle diverse Vie“.

 

Ma c’è anche chi la pensa in modo diverso

Naturalmente c’erano delle eccezioni: Kato Kiyomasa (1562-1611), che fu comandante del castello di Kumamoto prima degli Hosokawa, credeva che un guerriero che si fosse dedicato alla poesia sarebbe diventato ben presto un “effeminato”. E’ rimasta celebre la sua dichiarazione per chiunque avesse studiato il Teatro NO avrebbe dovuto suicidarsi. Ma l’ideale era stato stabilito molto prima e la maggior parte dei daimyo si occupava di poesia, di arte (o almeno la collezionava), e partecipava alla cerimonia del tè, che era diventata molto di moda.

Questi uomini reputavano le attività artistiche non solo dei passatempi, ma vere e proprie legittimazioni della loro posizione dominante. Imagawa Ryoshun (1325-1420), uno dei daimyo più potenti e acculturati della sua epoca, si espresse senza mezzi termini nelle sue Norme. La prima frase del testo, infatti, afferma: “senza conoscere la Via della cultura, non ti sarà possibile raggiugere la vittoria in quella marziale”. In seguito affermò:

Nei Quattro Libri e nei Cinque Classici (del Confucianesimo), e nei trattati militari, è scritto che non è possibile governare senza avere studiato la letteratura. Così come il Buddha ha predicato i vari dharma per per poter salvare tutti gli esseri viventi, noi [guerrieri] dobbiamo mettercela tutta e non abbandonare mai le due Vie della Cultura e del Marziale [bunbu ryodo].

 

Tratto da:
Il samurai solitario
(Miyamoto Musashi)
di: William Scott Wilson